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Sono nata giramondo

 

Nel ventre di mia madre ero già su un camper. A sei anni visitai la Tunisia, e negli anni successivi i miei genitori mi portarono in Spagna, Portogallo, Marocco, Algeria, Yugoslavia, seguita da Grecia, Turchia, Siria e Giordania. Mentre visitavo Petra in sella a un cammello, i miei coetanei giocavano a flipper in qualche stabilimento balneare della costa romagnola.

Nel 1978, avevo tredici anni, mio padre trascinò tutta la famiglia fino in Afghanistan a bordo di un vecchio Ford Transit. Io e mia sorella l’avevamo battezzato verdolino per la sua carrozzeria verde pistacchio. Non c’era carovana di nomadi che non si girasse a guardarci quando passavamo; non solo per la tinta del camper, che spiccava sullo sfondo grigio polvere del deserto, ma soprattutto per l’allestimento: mezza dozzina di taniche di carburante sul tettuccio, griglie di protezione su parabrezza e fari, nastro adesivo a sigillare tutti i finestrini. Erano le precauzioni minime per evitare vetri rotti, polvere in cabina e restare a secco in mezzo al nulla.

Di quell’esperienza ricordo in particolare la maestosità dei Buddha di Bamiyan (quelli distrutti con l’esplosivo dai talebani nel 2001), il blu inverosimile dei laghi sacri di Band-e-Amir, e il sequestro di due giorni alla frontiera con l’Iran, dove guardie armate ci smontarono il camper pezzo per pezzo alla ricerca d’inesistenti panetti di hashish.

Spezzato il cordone ombelicale, ho proseguito a viaggiare col fidanzato, poi diventato marito, e con il compagno di vita successivo. A novembre del 2002 sono diventata single e il mondo si è fermato. L’idea di viaggiare da sola mi metteva paura, angoscia, ansia, perfino imbarazzo. Può sembrare assurdo e irrazionale, eppure è così che mi sentivo al solo pensiero di avventurarmi da sola in qualche paese straniero.

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